Sanlorenzo chiude un 2023 a tutta velocità, arriva un dividendo da un euro ad azione
di Antonio Macaluso
Una società di importazione, ma anche un progetto industriale che guarda a fabbriche dismesse tra Grugliasco, il Nordest e l’Irpinia di Irisbus. Prende corpo il piano di alleanza con costruttori automotive cinesi di Dongfeng Motors — quelli che starebbero trattando con il governo per produrre 100 mila auto in Italia — a cui lavora il consulente Bruno Giovanni Mafrici, affiancato dal collega Giorgio Ratto, che ha convinto a partecipare al progetto anche Paolo Berlusconi.
Si parte dalla Df Italia, una srl costituita a Milano che vede come soci di maggioranza Mafrici e Ratto al 90% con la loro Car Mobility, posseduta attraverso Tailor Finance e per il restante 10% dalla Pbf del fratello minore di Silvio Berlusconi. I contratti di importazione sono in capo a Car Mobility, ma entro due settimane dovrebbero passare a Df Italia. «Sto partecipando con la mia Car Mobility con 10 milioni di capitale — rivela Mafrici, consulente già per Dongfeng a livello globale —, pensiamo che la quota azionaria cinese possa collocarsi inizialmente al 20% e la mia quota restare con una maggioranza del 55-52% e probabilmente accogliere 4 macrodealer italiani con il 5% ciascuno». Tra questi ci potrebbe essere la torinese Intergea di Alberto Di Tanno. Il tutto con l’appoggio delle soluzioni finanziarie di CA Auto Bank (gruppo Credit Agricole). L’idea è di commercializzare in Italia i brand del carmaker cinese Mhero, Nami, Dongfeng e Voyah, quest’ultimo proprio presentato da Df all’ultimo Salone del Mobile.
di Antonio Macaluso
«Visto che i cinesi sono entrati in maniera performante nel mondo dell’auto e visto che il governo sta cercando di portare in Italia un nuovo costruttore, cerchiamo di capire come posizionarci e di valutare, sfruttando il Pnrr, se possiamo un giorno rilevare una fabbrica dismessa. Il nostro progetto va avanti a prescindere da Stellantis», aggiunge Mafrici. Si tratterebbe quindi di una ragione sociale più industriale che andrebbe ad aggiungersi a quella di partenza.
«Inizialmente sarebbe una fabbrica di assemblaggio, che rispetti le indicazioni di 35% di componenti italiane — prosegue l’imprenditore —. Abbiamo avuto molte manifestazioni di interesse, guardiamo alla capacità e al costo del lavoro: potremmo optare per lo stabilimento di Flumeri, che condivideremmo con Industria Italia Autobus, ma stiamo guardando anche l’ex Maserati di Grugliasco. Ci stiamo consultando con i tecnici del governo». Ma chi potrebbe guidare questa iniziativa? Si tirerebbe in ballo il nome di Alfredo Altavilla, già responsabile Emea di Fiat Chrysler sotto Sergio Marchionne. Ma il top manager, interpellato dal Corriere della Sera, smentisce.
di Redazione Economia
Il progetto arriva nel pieno della polemica tra il ministro delle Imprese Adolfo Urso e il principale carmaker italiano, Stellantis. Non è un mistero che l’esecutivo Meloni stia cercando di attrarre un secondo costruttore auto in Italia e che stia spronando l’ex Fiat a produrre un milione di veicoli l’anno per saturare i suoi impianti, oggi sempre più colpiti dalla cassa integrazione. Due giorni fa la notizia della chiusura di Mirafiori per tutto il mese di maggio. Poche le richieste del mercato per la 500 elettrica. Da Stellantis era filtrato che lo stop della fabbrica era dovuto alla mancata attivazione degli incentivi da parte del governo. L’ipotesi Dongfeng, 2,88 milioni di vetture sfornate nel 2023, si concretizzerebbe dopo che non hanno trovato consistenza i contatti tra Roma e gli altri cinesi di Byd e Chery. «Introdurre la concorrenza cinese è una grande minaccia per Stellantis. Noi combatteremo, ma quando si combatte possono esserci vittime», aveva ammonito il ceo Carlos Tavares.
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